La neve a Roma, addio a Dario Passi

L’architettura come il fiume scorre sempre uguale dinanzi a noi per essere colta e determinata secondo forme e leggi di autobiografica immaginazione.
D. Passi, La costruzione del progetto

Ci ha lasciato Dario Passi, poco prima che la neve arrivasse ammantando Roma, preservandola per poche ore dal chiacchiericcio elettorale e dalle fitte trame di tessitori mai esausti.

I medesimi biechi personaggi, molti dei quali colleghi, che circa una trentina di anni fa riuscirono — indirettamente diremmo — a dissuadere Dario Passi dalla pratica architettonica, orientandolo verso un percorso artistico alternativo.
Un cammino comunque esperito con grazia decisa e metodo schivo, che da sempre hanno caratterizzato uno dei maestri dell’ultima Scuola Romana.

Roma, città di Passi

Roma appunto.
Una città fatta di case, case fatte per la loro città, in un susseguirsi di situazioni efferate, tragiche, impietose, mai graziose né ipocrite, incapaci di piegarsi alla “buona società”.

Architetture dure, perentorie, massicce, a testimoniare che l’architettura non si manifesta al di fuori di una cultura del costruito, capace di rileggere la vicenda della sua lenta, faticosa, silenziosa, ma ineluttabile evoluzione materiale.

G. Muratore, D. Passi, Parere sull’architettura

Dario Passi architetto

Negli anni Settanta e Ottanta, Dario Passi fu uno dei più autorevoli esponenti di una tendenza progettuale romana, al tempo stesso vicina e distante dalle coeve declinazioni nazionali e internazionali.

Tra gli altri, hanno scritto di lui Calvesi, Bonito Oliva, Moschini, Muratore, Portoghesi, Purini, Savi.
Non è un caso che proprio Vittorio Savi ne analizzò la produzione con attenzione, analogamente a quanto già fatto per Aldo Rossi.

Non stupisce, dunque, apprendere che Rossi, in veste di curatore della Biennale del 1985, invitò personalmente Passi al concorso per la sistemazione dell’area del Ponte dell’Accademia.

Savi scrisse di una “conciliazione del realismo con l’avanguardia”, avvicinando con un’intuizione felice la sensibilità passiana a quella di Cy Twombly, e parlò di processi creativi alchemici, di realismo tipologico e di architetture metropolitane.

L’urbanità discreta e poetica

Passi inseguiva, attraverso lo strumento architettonico, un’urbanità compatta, discreta, borghese.
Ricercava pezzi di città normali, di gente che vive una minima vita urbana.
Era affascinato dai personaggi apparentemente minori, le piccole storie, le peculiarità desuete, gli eventi senza firma.

Il suo ritrovarsi solo, isolato, con i suoi pochi ma affezionati estimatori non può che rassicurarlo sul senso preciso di scelte così fastidiose, scostanti e così poco amabili, eppur così necessarie se non urgenti.
Francesco Moschini

Dal progetto all’arte

La seconda fase della sua ininterrotta attività di ricerca si è focalizzata quasi esclusivamente sul gesto artistico.
Arazzi, ceramiche, dipinti, disegni, murales: il supporto cambiava, ma il tratto rimaneva lo stesso — lieve, efficace, mai banale.

Da Capogrossi a Perilli, i riferimenti artistici restavano ancorati a un orizzonte romano.
Negli ultimi anni, due personali hanno raccontato questo percorso generoso, finalmente meno schivo ai riflettori:

  • “Disegni” alla Fondazione Cerere

  • “Pittura di segni / Segni di pittura” alla Nomas Foundation

Entrambe hanno reso un meritato omaggio a Dario Passi, artista e architetto.

Un ritorno ideale al Tuscolano

Chissà lungo quali itinerari dell’Urbe si starà incamminando ora, di nuovo al fianco dell’amico Giorgio Muratore.
Probabilmente ripartiranno dal Tuscolano, quartiere dove si impernia la poetica di Dario Passi, che già descrisse in Una giornata al Tuscolano, brano dagli echi pasoliniani:

Credo di poter legare l’inizio di questo genere di attrazione o comunque di rapporto con quelle strade, con quegli slarghi, con quegli edifici che si avviano a divenire per me emblematici, a certi lunghi pomeriggi feriali della mia adolescenza passati in interminabili partite di calcio con piccole squadre locali in quei campetti terrosi e senza docce sotto l’acquedotto che ci rimbalzava amichevolmente il pallone.