Assalto pullman Pistoia, in 3 finiscono in carcere – uno Stato indegno Vergogna!

Quanto accaduto domenica scorsa lungo la strada statale che collega Rieti a Terni non è solo una tragedia, ma una macchia indelebile per il mondo dello sport italiano. L’omicidio di Raffaele Marianella, secondo autista del pullman dei tifosi del Pistoia Basket, rappresenta il punto più basso di una cultura ultras sempre più fuori controllo, dove l’odio ha preso il posto del tifo.

Una sassaiola brutale, un agguato vile compiuto non da criminali comuni, ma da chi si nasconde dietro la bandiera dello sport per seminare paura, caos e morte.

Una pietra che uccide: Raffaele Marianella colpito mentre lavorava

Raffaele Marianella, 59 anni, stava semplicemente lavorando. Sedeva accanto al collega autista alla guida del pullman che riportava a casa i tifosi del Pistoia Basket dopo una trasferta a Rieti, quando è stato colpito da una grossa pietra lanciata da un gruppo di facinorosi.

Una sassaiola, organizzata e feroce, esplosa subito dopo la fine della partita. Non uno scontro tra tifoserie, ma un attacco vile, mirato a colpire, ferire, uccidere. Marianella, colpito in pieno, non ha avuto scampo. Una vita spezzata da una violenza priva di senso, in un contesto che dovrebbe unire e non dividere.

Tre fermi: indizi gravi contro esponenti della curva Sebastiani Rieti

Sono stati fermati tre uomini: Manuel Fortuna, 31 anni, Kevin Pellecchia, 21 appena compiuti, e Alessandro Barberini, 52 anni. Tutti ritenuti vicini agli ambienti dell’estrema destra e appartenenti al nucleo più radicale della curva della Sebastiani Basket Rieti.

Secondo la questura, a loro carico ci sono gravi indizi di colpevolezza. Le indagini hanno portato alla raccolta di testimonianze oculari, al sequestro di materiale video e all’acquisizione di tracce biologiche e DNA trovati sulla scena del delitto. Un quadro accusatorio solido che mette a nudo un sistema malato.

Violenza e ideologia: quando lo sport diventa un pretesto per l’odio

Ciò che più indigna è il contesto: una partita di basket, una trasferta tra tifoserie che avrebbe dovuto concludersi con sfottò e cori, si è trasformata in un’imboscata omicida. E non è un caso isolato.
L’odio politico, l’appartenenza ideologica estremista, la ricerca dello scontro fisico: sono tutti elementi che inquinano lo sport, lo deturpano, lo svuotano di senso.

Chi lancia pietre da un cavalcavia non è un tifoso, è un potenziale assassino. E chi giustifica o minimizza è complice.

La Sebastiani si costituisce parte civile: un segnale, ma basta?

La società Sebastiani Basket Rieti, nel tentativo di prendere le distanze dalla frangia più estrema dei propri supporter, ha annunciato che si costituirà parte civile nel processo. Un gesto che va nella direzione giusta, ma che non cancella la responsabilità morale di anni di tolleranza verso comportamenti al limite della legalità.

Serve una presa di posizione più netta e radicale. Serve che le società sportive si assumano l’onere di isolare questi individui prima che accadano tragedie, e non solo dopo che le cronache riportano i nomi delle vittime.

Il dolore di una comunità, la rabbia di un Paese intero

La morte di Marianella lascia una ferita aperta non solo nella sua famiglia e tra i colleghi, ma in tutti quelli che credono ancora nel valore pulito e positivo dello sport. Un uomo onesto, un lavoratore, una persona che non aveva nulla a che fare con la violenza è stato ucciso da chi non sa nemmeno cosa significhi davvero amare una squadra.

C’è bisogno di giustizia rapida e severa, ma anche di un profondo ripensamento sul ruolo delle tifoserie organizzate, sul silenzio delle istituzioni sportive e sulla banalizzazione dell’estremismo nei palazzetti e negli stadi.

Basta violenza, basta omertà

Chi ancora si ostina a difendere queste frange di tifosi parlando di “passione”, “appartenenza” o “folklore”, sta contribuendo al degrado. La morte di Marianella non è un incidente, non è una fatalità: è il risultato diretto di anni di impunità, tolleranza e complicità.

Lo sport merita altro. L’Italia merita altro. La memoria di Raffaele Marianella merita giustizia e rispetto. Ora, più che mai, è il momento di dire basta.

Lo Stato che non protegge: una riflessione amara

Lo Stato non solo non tutela gli onesti lavoratori, ma spesso promulga leggi che permettono ai delinquenti di farla franca. È questa la sensazione che emerge, amaramente, di fronte a tragedie come quella di Raffaele Marianella.
Mentre chi lavora con dignità perde la vita in modo assurdo, chi semina violenza può contare su scappatoie, attenuanti, ritardi giudiziari e talvolta persino su un clima culturale indulgente. Un sistema che puzza di ingiustizia, che premia il caos e abbandona chi chiede solo di vivere e lavorare in pace.
Questa non è sicurezza, non è civiltà, non è giustizia. È una resa silenziosa a una minoranza rumorosa e pericolosa.