L’archeologia ha il potere di svelare capitoli dimenticati della storia, ma può anche trasformarsi in un potente strumento politico nel presente. Due recenti episodi, uno in Puglia e l’altro a Gerusalemme, illustrano perfettamente questa duplice natura: da un lato, la scoperta casuale di un tesoro che arricchisce la conoscenza del passato; dall’altro, l’uso di scavi per affermare rivendicazioni in uno dei contesti geopolitici più complessi al mondo.
Manduria, un tesoro messapico riemerge durante i lavori per la rete fognaria
A Manduria, in provincia di Taranto, alcuni operai impegnati nell’installazione della rete fognaria si sono imbattuti in una scoperta straordinaria: una tomba di 2.300 anni fa, risalente al IV secolo a.C. La notizia è stata diffusa l’8 settembre dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Brindisi e Lecce.
La sepoltura apparteneva alla civiltà dei Messapi, una cultura preromana che fiorì nel Salento. Secondo le prime analisi, la tomba faceva parte di un piccolo complesso funerario e presentava già “segni di un’antica violazione”. La struttura è divisa in due ambienti. L’ingresso conserva tracce di intonaco dipinto di rosso, attraversato da una fascia bianca orizzontale in rilievo. All’interno di questo primo spazio sono stati rinvenuti numerosi oggetti in ceramica, tra cui vasi, lucerne, unguentari e piatti, tutti databili al IV secolo a.C.
L’accesso alla camera funeraria era chiuso da una porta a due pannelli, anch’essa intonacata di rosso, di cui sono stati recuperati diversi frammenti. La camera stessa presenta tracce di intonaco dipinto e, sulla parete meridionale, quattro incavi rettangolari alla base, probabilmente destinati a sostenere un letto funebre.
Gli archeologi hanno notato che le pareti della tomba erano state perforate in antichità, un’azione probabilmente compiuta da tombaroli per accedere alle sepolture vicine. Infatti, una seconda tomba, sebbene trovata ancora sigillata, era priva del corredo funerario. Tuttavia, al suo interno è stata scoperta una moneta romana, un denario repubblicano, che testimonia la frequentazione dell’area anche in epoca successiva. Le autorità stanno ora lavorando a un modello digitale 3D della tomba per garantirne la “futura accessibilità attraverso le tecnologie digitali”.
A Gerusalemme, l’archeologia al centro del conflitto
Mentre in Italia il passato riemerge quasi per caso, a Gerusalemme l’archeologia è al centro di aspre contese politiche. Lunedì, il senatore americano Marco Rubio ha visitato un controverso sito archeologico sotto la città, offrendo un esplicito sostegno a un progetto guidato da coloni ebrei che, secondo i critici, mina le prospettive di un futuro stato palestinese.
La visita, da cui i media locali e internazionali sono stati esclusi, rappresenta l’ultimo di una serie di avalli da parte dell’amministrazione Trump a iniziative che mirano a consolidare le rivendicazioni israeliane su Gerusalemme Est, considerata dai palestinesi la capitale del loro futuro stato.
Il parco archeologico della “Città di David” si trova nel quartiere palestinese di Silwan, ai piedi del complesso conosciuto dagli ebrei come Monte del Tempio e dai musulmani come Haram al-Sharif (Nobile Santuario), un focolaio di tensioni che resta al cuore del conflitto israelo-palestinese. L’UNESCO, l’organizzazione culturale delle Nazioni Unite, si è opposta alla costruzione del parco in un’area che la maggior parte della comunità internazionale non riconosce come territorio israeliano.
Una visita controversa e le accuse di strumentalizzazione
Prima del suo viaggio, Rubio aveva negato la natura politica del sito archeologico. Successivamente, ha pubblicato su X (precedentemente Twitter) le foto dell’inaugurazione di quella che ha definito la “Strada del Pellegrinaggio”. “È un potente promemoria dei valori giudeo-cristiani che hanno ispirato i Padri Fondatori dell’America”, ha scritto, riferendosi al significato biblico del luogo, che si ritiene fosse percorso dai pellegrini diretti al Secondo Tempio all’epoca di Gesù.
Questa visita si inserisce nel solco del riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte dell’amministrazione Trump nel 2017, una rottura con decenni di politica estera americana. La mossa arriva in un momento delicato, mentre si attende che leader mondiali come quelli di Gran Bretagna, Francia e Canada possano riconoscere formalmente uno stato palestinese durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Residenti e gruppi di attivisti israeliani denunciano che gli scavi sotto Silwan sono stati condotti sotto le abitazioni palestinesi senza consultare i residenti e non rispettano gli standard dell’archeologia professionale. Ze’ev Orenstein, direttore degli affari internazionali della Città di David, ha replicato che “tutti gli scavi archeologici sono eseguiti dall’Autorità Israeliana per le Antichità secondo gli standard più elevati”. Fakhri Abu Diab, un attivista di Silwan, ha affermato che la visita di Rubio incoraggerà Israele e il movimento dei coloni, dando “il via libera a un’ulteriore espansione degli insediamenti, demolizioni e pulizia etnica”.
La battaglia sui siti archeologici e religiosi di Gerusalemme riflette la lotta per la sovranità fin dalla fondazione di Israele nel 1948. Dal 1967, anno in cui ha catturato la parte est della città, Israele ha perseguito politiche volte a mantenere una maggioranza ebraica, mentre i residenti palestinesi affrontano demolizioni, restrizioni edilizie e quella che i gruppi per i diritti umani descrivono come una discriminazione sistematica.